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mercoledì 20 giugno 2012

Pietro Bucci, un "ponte" verso il futuro

Questo libro raccoglie i contributi commemorativi di colleghi ed amici di Pietro Bucci, uno dei padri fondatori dell’Università della Calabria e personaggio di altissimo profilo umano e scientifico. Il curatore dell’opera ha sicuramente colto nel ricordo di colleghi, allievi ed amici gli aspetti fondamentali e caratterizzanti della personalità di quest’uomo, che seppure non più presente nell’immanente, rimane una figura vivida ed ispiratrice per tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di incrociare la sua avventura umana. Emblematico è il titolo che l’autore ha scelto: <<Pietro Bucci: “un ponte” verso il futuro>>. A lui, infatti, è stato intestato il ponte che unisce in alto i diversi "cubi" della Università della Calabria ad Arcavacata, nella direzione lungo la quale è previsto lo sviluppo futuro della costruzione. La scelta dell'intestazione, voluta dall'allora Rettore, Giuseppe Corrado Frega, è particolarmente felice per definire il ruolo che Pietro Bucci ha rivestito nell'edificazione fisica e organizzativa dell'Università della Calabria per l'importanza che avrebbe svolto nell'ambito della regione e del Paese e di tutti coloro che l'avrebbero frequentata.



sabato 21 aprile 2012

Capitolo III


Così era iniziata la mia partecipazione “alla lotta”, che
avrebbe proseguito soprattutto sul piano della collaborazione
alla stesura di “documenti”, da inviare alla stampa
o a politici o al Presidente della Repubblica. Quest’ultima
idea era stata di Ciccio Stavolo. Perché non ci rivolgiamo
a Scalfaro che è venuto da poco a Napoli e che è rimasto
colpito dalla dignitosa povertà dei napoletani? L’idea era
buona e sarebbe stata realizzata, con il consenso di tutti.
Già dalle prime riunioni, infatti, si cercava di coagulare il
consenso di tutti e, poi avrei capito, si sarebbe richiesta la
votazione solo quando si aveva la certezza che questa
avrebbe pienamente fatto vincere l’opinione della rappresentanza.
Ma dedichiamo due parole a Francesco Stavolo, detto
Ciccio, che ne meriterebbe anche di più. Ciccio è uno di
“quelli del ‘63”, di coloro che, per concorso erano entrati
nella Società all’indomani della nazionalizzazione dell’energia
elettrica, quando la famiglia Signorini, proprietaria
della SME, Società Meridionale di Elettricità, aveva
investito l’indennizzo dello Stato in vari settori industriali
fra cui in particolare quello alimentare.
Uomo di grande cuore è un ragioniere che è riuscito, con
fatica e lealtà, a conquistare la posizione di quadro nella
Finanziaria. Si occupava del settore societario e, da quanto
ho capito, anche confrontando il mio parere con quello
di altri, ne sa parecchio. I suoi superiori spesso si rivolgono
a lui per questioni inerenti al suo settore di competenza
per cui ecco: si può dire che è un “tecnico”. Per il suo
modo diretto e a volte brusco di porgere può sembrare prepotente
o superbo, ma chi lo conosce sa che non è affatto
così. Il suo atteggiamento - qualcuno dice - “da guappo”
rimane solo in superficie.
Ciccio è pescatore e racconta spesso delle sue imprese a
mare e quando vede che la gente non lo prende in parola ci
rimane male. Ma a lui, in definitiva, cosa importa? Lui
pesca fra Capo Miseno e Procida e questo lo fa felice. Se
ne sta con la sua barca in mezzo al mare e lì si sente,
essendolo, un re.
E’ stato nei Carabinieri e, anche questo racconta, lì ha
conosciuto il generale Dalla Chiesa dal quale ha ricevuto
più volte dimostrazioni di stima.
Io ci credo, anche perché egli ebbe successivamente anche
la stima di un altro grosso personaggio, il Presidente
Valori. E, come sempre, Ciccio dedica tutto il cuore a questa
sua amicizia e questo grande cuore che ha soffre un poco
e Ciccio ci deve stare attento. Deve stare attento alla dieta
e al fumo sui quali normalmente non si controlla molto.
Poi si controlla quando è costretto a farlo e allora si attiene
rigorosamente alle indicazioni dei medici. Ora però ha
imparato a prevenire e talvolta, incredibilmente, rifiuta un
caffè. Ciccio è un metro e settanta ed è parecchio robusto,
sia costituzionalmente che di panza. Ha i lineamenti regolari
e si capisce, anche dai racconti che si fanno e dalla faccia
dei suoi figli, avuti da una giovanissima moglie, che un
tempo doveva essere un bell’uomo. Ancora oggi se si
mette gli occhiali da sole è scambiato per Tony Curtis. Così
una foto dei primi tempi della SME, lo ritrae a fianco di
Michele Varriale, altro bello, anch’egli oggi un po’ fuori
forma, mentre in costume da bagno prendono il sole a
Procida, distratti per un attimo dall’obbiettivo del
fotografo.
E di Procida, Gennaro però e non l’isola, ti parla Ciccio,
come dell’amico compianto stroncato giovane da una brutta
malattia, con cui si sono divise fatiche e avventure. Oggi
Ciccio è padre di due ragazzi e una ragazza, in età universitaria
e anche questo testimonia il suo cuore, in una societ
à in cui una famiglia con tre figli è già considerata
numerosa. Povero Ciccio, come deve aver sofferto un
cuore grande come il suo quando il ragioniere della sedia
accanto con il quale giocava a carte, oggi è Direttore
Centrale e non gli da più del “tu”. Ma lui pesca e in mezzo
al mare si dimentica di questa e di altre amarezze. Ciccio è
grande.
Da allora iniziò un’attività di relazioni pubbliche tenute
essenzialmente dalla Perrino, con la collaborazione, per i
documenti scritti, di Piero Iacchetti – sua la frase poetica
detta ad una nostra collega avvocato che, da buon avvocato,
non si sentiva mai stanca di parlare: “Monica, quando
smetti di parlare, sento il cinguettio degli uccelli” - e mia.
La Signora, infatti, non scriveva ma correggeva soltanto e
con buon senso, bisogna dire. Presto cominciò un andirivieni
di politici e di giornalisti che “fiutavano” la notizia e
cercavano, i primi, di guadagnarsi il favore dei manifestanti
promettendo il massimo impegno in Parlamento e i
secondi, chiedendo un po’ a destra e un po’ a sinistra di
capire come andavano le cose. Ma presto la RSA se ne
accorse e unificò l’interlocutore con i giornalisti: essa stessa.
Insieme con la consapevolezza del ruolo centrale che la
questione stava assumendo nell’ambito dei problemi di
Napoli e della Campania e, al centro della questione stessa,
il proprio ruolo personale crebbe nell’atteggiamento
della Perrino quel fare autoritario e un po’ artefatto che
presto le avrebbe fatto perdere il consenso di alcuni che
l’accusavano di protagonismo. Assunse, in effetti, un tono
sprezzante nei confronti degli altri componenti della RSA
e dava l’impressione di sentirsi sempre come sotto i riflet-
tori, inquadrata da una telecamera.
Furono diverse le telecamere che posarono il loro “sguardo
” su di lei e la cosa non poteva non lasciare traccia.
Nell’idealismo di qualcuno forse non sarebbe dovuto
accadere, ma non fu così.
C’era di fondo, però, una spinta ideale che faceva passare
sopra queste “piccolezze” da parte degli occupanti e, d’altra
parte, ci si rendeva conto di quanto fosse necessaria in
quel momento la figura di un leader, per cui ci si guardò
bene dal ridimensionarla. Fra i più vituperati membri della
rappresentanza c’era Antonio Gradogna, un ragioniere,
Cavaliere della Repubblica, che alla SME si occupava
degli acquisti e della manutenzione e che, si dice, sia stato
voluto nella RSA dall’Azienda. Ne parlavano male tutti gli
altri rappresentanti sindacali e non c’era in realtà grosso
addebito da fargli se non quello di essere ammanicato con
preti, DC e Rastrelli, senatore del Movimento Sociale e
fratello del frate anti-usura. In una certa occasione lo invitò
a parlare con i lavoratori della SME e questi, simpatico
oratore, si spinse a prospettare una soluzione giuridica che,
esaminata da due giovani funzionari della SME, apparve
tecnicamente impraticabile. Il senatore, futuro Presidente
della Regione Campania, si ritirò in buon ordine e con
senso dell’umorismo riconobbe di essere venuto a dare
consigli e di averne, invece, ricevuto.
Alla fine di febbraio la Pausini vinse il girone dei giovani
di Sanremo con “La solitudine”. La canzone, che avrebbe
lanciato la brava cantante, parlava di un amore iniziato sui
banchi di scuola e ostacolato dal trasferimento di lui. In
quel periodo mi tornava spesso in mente perché rispecchiava
bene anche lo stato d’animo di molti di noi, di fronte
ad un ostacolo grosso grosso che non ci si aspettava e non
si vedeva l’ora che finisse.
Ma torniamo a Gradogna che, di umile condizione, si era
consolidato nella posizione in SME facendo piccoli favori
a destra e a manca e sicuramente è un tipo molto attivo,
con la testa sulle spalle e gli occhi anche dietro la nuca
(non si sa mai ... ). Scherzi a parte il suo occhio buono è
uno solo e con questo guida, con grande timore della
Perrino, a tutta velocità. Si dica ciò che si vuole, Antonio è
l’unico che ha coltivato e difeso il rapporto con il
Presidente Valori, per il resto molto avversato dalla RSA.
La sua avversione era forse dovuta all’estrazione politica
di Valori che mostrava di avere le sue migliori amicizie
nell’ambiente della DC o forse al fatto che lo stesso
Presidente dimostrava di preferire come interlocutore
Gradogna alla Perrino. Il piccolo - ma tozzo – ragionier
Gradogna sarebbe riuscito a mantenere i rapporti con il
Presidente anche quando questi sarebbero risultati
estremamente difficili, perché le sue promesse sembravano
non realizzarsi e la Perrino avrebbe proposto la rottura
totale nei suoi confronti.

Capitolo II


Il Direttore Generale era un giovane professionista con una
brillante carriera alle spalle. Da quando, giovanissimo, era
entrato alla SME sotto l’ala dell’allora potente prof. Sicca,
aveva bruciato le tappe. Dopo un master in America aveva
scalato rapidamente tutti i livelli impiegatizi ed anche dopo
il declino, ma sarebbe meglio parlare di siluramento di
Sicca, era diventato prima dirigente e poi direttore della
Programmazione Strategica e del Controllo di gestione,
brillando di luce propria. Di grande intuito e rapida decisione,
ciò che veniva riconosciuto anche dai suoi non pochi
detrattori, aveva anche un’ottima “capacità di rapporti
interpersonali”, come si dice in gergo aziendale quando
uno è socievole, ma anche un carattere molto incostante.
Dovette arrabbiarsi molto il giovane manager quando alla
porta dell’ufficio quella mattina gli fecero capire che lui
non poteva entrare e che non era il caso di insistere. Inutili,
d’altra parte, si erano rivelati i tentativi di far forzare il
blocco dalla polizia per la presenza all’interno del palazzo
non solo “dei lavoratori riuniti in assemblea permanente”
ma anche di alcuni politici che non potevano essere spostati
con la forza come un qualsiasi altro mortale. Qualche
altro dirigente che, particolarmente zelante, si era già recato
in ufficio era stato gentilmente invitato ad abbandonare
il palazzo. Un mio collega mi chiamò a casa con voce eccitata
per questo rovesciamento di ruoli mentre proseguiva
il corteo all’interno dell’edificio: dal tono si capiva che
riteneva del tutto intempestivo, se non inopportuno, mancare
in questo momento.
Quando tornai in ufficio, nella “assemblea permanente”
anche lo sguardo di altri colleghi manteneva una velata
espressione di rimprovero. Non ero l’unico, infatti, che
era ammalato nella circostanza e, in alcuni casi, la coincidenza
era quantomeno sospetta. Il sospetto nei miei confronti
era per di più alimentato da una mia domanda preoccupata
sulla spedizione del certificato medico, che significava
non rinunciare, al pari degli altri, allo stipendio per i
giorni della mia malattia. Ma io che ne sapevo? Era la
prima “occupazione” che facevo ...
A questo proposito c’è da dire che il vocabolo era tabù
anche fra di noi perché definiva una situazione illegale,
mentre veniva utilizzato quello, già indicato, di “assemblea
permanente”.
L’atmosfera aveva già perso i toni accesi che dovevano
esserci stati nei giorni precedenti e l’unico segnale “di
guerra” era costituito dalla presenza di un tabellone, peraltro
molto ben fatto dall’ottimo Ugo, con i nomi degli uomini
(le donne erano cavallerescamente escluse) che avrebbero
dovuto fare i turni a partire da quella notte. Per il resto
il salone si presentava pieno di figure rilassate. Molti
leggevano il giornale, altri giocavano a carte, altri ancora
chiacchieravano un po’ scocciati. Il Quartier Generale,
dove invece ferveva l’attività, era al piano di sopra. Lì si
era riunita la “rappresentanza” (sindacale, ma chiamata
sempre solo con il primo termine) che aveva preso in
pugno il comando della situazione e discuteva, in modo
spesso animato, il da farsi. Attorno ad essa orbitava un
insieme di persone, un po’ per darsi da fare, un po’ per
procurarsi ciò che in una situazione del genere diventa
importante come il pane: le informazioni. Anche perché
proprio di pane si trattava: intanto lo stipendio non si percepiva
e poi veniva messo in discussione il proprio futuro
lavorativo. Ma tornando al cartello con i turni per la notte
non mi ero accorto ad un primo sguardo che era deserto
proprio il turno di quella stessa notte. Sentii, a tal
to, un collega che si giustificava dicendo che non poteva
inserirsi perché aveva problemi - seri - alla schiena ed un
altro che, con aria di grande rispetto e circospezione, lo
ammetteva.
“Ecco, mi dissi, si presenta la possibilità di entrare subito
“nel vivo” e, dopo aver chiamato casa, mi proposi di
restare io per quella notte, con l’intento di spingere anche
altri a fare lo stesso. E così fu: si unirono altri, anche se con
poco entusiasmo. In quella occasione cercammo di accorciare
la notte giocando a scopone scientifico, con la televisione
accesa.
Ebbi così modo di scoprire l’abilità di Nando, teorico del
gioco e abilissimo utilizzatore del Lotus, foglio elettronico
per personal computer. Nando è un ragioniere che alla
SME si occupava dei rapporti con le banche. Di media
statura, fisico asciutto, capelli scuri, sguardo intelligente e
baffetti è sempre elegante e si tiene in forma salendo i
quattro piani di scale che portano al suo ufficio. Manovra
le carte con accuratezza e rispetto e aspetta il momento
buono per piazzare il colpo a sorpresa che puntualmente
sottolinea con la sua risata sempre pronta. Con Silvia
forma una delle coppie di colleghi che si sono sposati alla
SME. Sono felicemente sposati e genitori di due figli. Mi
hanno raccontato di quando sposini e senza soldi sono partiti
per il viaggio di nozze, in Cinquecento.
Non li ho mai visti litigare.
Lui la chiama “collega Perrotta”. Lei è segretaria di
direzione. Lo è stata per molti anni del dott. Vanoli, allora
Direttore Generale, ed ora lo è stata anche dell’ing.
Maresca, un ingegnere meccanico che dal controllo degli
investimenti è passato ad occuparsi sempre più di
Amministrazione e Finanza.
La partita a carte finì e poi un’altra e poi un’altra e
occhi mi si chiudevano anche perché ho l’abitudine di
alzarmi presto la mattina. Resistetti un po’ per non scontentare
i miei compagni, ma questi se ne accorsero e mi
lasciarono andare: “non c’è problema”. C’era l’accordo di
dormire tutti, alcuni al piano terra, arrivati ad una certa ora,
lasciando sempre qualcuno in portineria. Nando, poi, che
non dormiva mai, mi consigliò di mettermi al secondo
piano dove c’era il miglior divano, quello del salottino
“azzurro”. Io mi allontanai, ringraziando, ma facendo
capire che sarei andato al salotto del primo piano per un
paio d’ore anche perché sicuramente c’era qualcuno più
alto di me che avrebbe potuto sfruttare meglio il più lungo
divano disponibile. Il tentativo di addormentarmi, durato
un’ora circa, alla fine naufragò perciò decisi di tornare al
piano terra in portineria dove c’erano, come sempre ci
sono, dei giornali da leggere. E così feci. Il sonno ritornò
ma erano già le due e decisi di non risalire, anche perché
ormai sarebbe stato il caso di stare “in guardia”, perché gli
altri dormivano, tranne, forse, proprio Nando.
Mi ricordo quando al corso allievi ufficiali ci parlarono di
come avremmo dovuto fare la guardia. Ci spiegarono che
in quel momento quella zona della caserma o dell’accampamento
era affidata esclusivamente alla nostra responsabilit
à e che non dovevamo fidarci assolutamente di nessuno.
Avremmo dovuto sparare a chiunque avesse invaso
la zona di sicurezza senza rispondere all’”altolà chi va là”.
Avremmo dovuto sparare anche su chi ci sembrava di
riconoscere se non avesse obbedito all’intimazione. La
lunga aneddotica che si accompagna a questo rituale e alle
prime guardie rendono effettivamente particolarmente
all’erta chi la esegue. Almeno, così è successo a me. Si raccontava
di un capitano, temutissimo in caserma, che era
riuscito a prendere alle spalle una sentinella
e della conseguente pesante punizione (“consegna di rigore)
”che era seguita.
Ma si raccontava pure di un soldato particolarmente sveglio
che aveva messo il fucile sotto il naso ad uno che aveva
scavalcato il muro della caserma per essere rientrato troppo
tardi dalla libera uscita e di un altro che c’era morto.
Certo, adesso, questa guardia aveva l’aria di essere molto
più all’acqua di rose. Non si trattava di stare in piedi, non
c’erano armi di mezzo ed era molto facile richiamare l’attenzione
dei compagni. Qualcuno sosteneva che un attacco
notturno da parte delle forze dell’ordine era estremamente
improbabile. Qualcun altro riteneva che qualsiasi attacco
era improbabile per la situazione, già descritta, di polveriera,
in cui versava Napoli. Ma c’era anche chi diceva che
invece prima o poi avrebbero dovuto cacciarci. Per quanto
mi riguarda, come si vede, cercavo di formarmi un’opinione
personale attraverso le idee degli altri, non avendo,
come molti dei colleghi, alcuna esperienza in “occupazione.
”All’ennesimo articolo di giornale che non avrei mai letto in
nessun altra condizione, mentre ripercorrevo con la mente
i racconti che mi avevano fatto i colleghi al mio ritorno
quella mattina, mi venne l’idea di mandare una lettera
infuocata di un certo avvocato, facente parte del Consiglio
di Amministrazione della SME, che mostrava di voler
seguire una linea dura con noi nonostante avesse una
posizione poco chiara e molto rapidamente preparai la lettera
da mandargli.
Poi, visto che avevo in mano la penna, provai ad abbozzare
un documento di ricucitura con i colleghi della Cirio.
Ciò che indeboliva molto la nostra posizione, infatti, era il
fatto che gli impiegati della Cirio, Bertolli, De Rica, che
pure avevano iniziato ad opporsi a quest’idea della
sione, essendosi trovati con noi a fine dicembre nel
Cinema Teatro Corso nella riunione con i sindacati e così
il venerdì precedente nel salone della SME, adesso, invece,
stavano recedendo dal fronte della battaglia. Essi, a loro
volta, sostenevano che non potevano bloccare l’attività del
settore Latte e quindi non sarebbero comunque potuti
essere compatti al loro interno.
Il giorno dopo, in una riunione come ve ne sarebbero state
molte altre, in cui i rappresentanti sindacali avrebbero dato
un’”informativa sindacale”, appunto, la Perrino, esponente
di spicco della nostra RSA (rappresentanza sindacale
aziendale), avrebbe preso una di quelle due lettere, quella
all’avvocato, per additarla ad esempio di come si doveva
collaborare alla lotta e sottintendendo che altri tipi di “consigli
” o critiche era meglio tenerli per se’. Bisognava partecipare
attivamente.
La lettera faceva più o meno così: “La circostanza della
Sua appartenenza al Consiglio di amministrazione della
SME è incompatibile con l’incarico di consulente che Lei
svolge per la Cirio, Bertolli, De Rica. La invitiamo pertanto
a dimettersi dal Consiglio di Amministrazione della
SME per il buon nome della Società”.
Qualcuno disse in seguito che l’avvocato si era mostrato
parecchio contrariato per quella lettera.

Capitolo I


Il salone del piano terra della SME era stracolmo di gente.
Oltre ai dipendenti della società, vi erano convenuti lavoratori
e sindacalisti esterni all’azienda e l’aria si era fatta
pesante, non solo per le oltre trecento persone che vi si
erano riunite ma anche perché i motivi dell’incontro erano
gravi. Quel 22 gennaio del ‘93 era un venerdì.
Il salone veniva normalmente utilizzato per le cerimonie
ufficiali, come ad esempio quella, tradizionale e recente, di
auguri natalizi. Dava sul cortile interno del moderno palazzo
del Centro Direzionale dove, loro malgrado, si erano
dovuti trasferire i dipendenti della Società nel maggio
1990, abbandonando le comodità della sede storica di via
Bracco. Ancora per molto tempo fra di essi l’argomento
rimase decisamente tabù.
Al microfono si erano succeduti diversi capi sindacali e fra
questi l’intervento di uno in particolare era stato accolto da
grande attenzione. Il tipo era piccolo e spelacchiato, i suoi
occhialini tondi e lo sguardo astuto gli davano l’aria da
intellettuale ed anche dalla voce sgradevole ma pacata si
capiva che aveva autorità. Si parlava della decisione della
Capogruppo IRI di scindere la SME in blocchi e di venderla
al privato. La SME rappresentava l’ultimo grande
Gruppo presente al Mezzogiorno e la decisione dell’IRI
aveva avuto tutta l’aria di un ritiro dello Stato dal Sud,
dove nel bene e nel male questo aveva avuto un ruolo di
sostegno notevole. Lo spettro della scomparsa di migliaia
di posti di lavoro si profilava con sempre maggior chiarezza
e un misto di movimenti interiori ed esteriori si sviluppava
in ciascuno di noi con disarmonia. Anche i movimenti
collettivi erano convulsi e a tratti si aveva come l’impressione
che stesse per scoppiare una rissa. L’apice si era
giunto quando, poco prima del piccoletto, aveva preso la
parola un sindacalista alto, grosso e baffuto che incitava
alla mobilitazione ma aveva dovuto desistere quando si era
accorto che il primo ad essere travolto sarebbe stato proprio
lui.
Il piccoletto, invece, che poi identificai meglio come il
Segretario della Camera del Lavoro di Napoli, invitò alla
ponderazione ed alla necessità di un’azione concordata con
il sindacato nazionale.
Il rispettoso silenzio con cui furono accolte le sue parole
non indicava però l’intenzione di seguire il suo consiglio.
L’atmosfera era pesante anche per le numerose sigarette
accese e il fumo che, come una nuvola, occupava ormai la
parte superiore della sala. Forse per questo molti
preferivano stare accovacciati o distesi per terra. Inoltre la
passività della maggior parte dell’uditorio ed il lento
vagare per il fondo della sala fra tanti volti conosciuti ed
altri meno, appartenenti questi ai colleghi della Cirio, mi
aveva fatto ricordare i tempi dell’occupazione studentesca,
quando al mio completo disinteresse per le questioni
politiche, si accompagnava una certa curiosità di conoscere
persone nuove, approfittando della ridotta attività scolastica.
Il giorno dopo ero a letto con la febbre alta.
Evidentemente oltre al fumo, nell’aria del salone doveva
esserci un morbo in agguato e di quelli potenti perché la
febbre non mi avrebbe abbandonato per tutta la settimana
successiva.
Il progetto di cui si discuteva la sera di quel venerdì si realizz
ò poi il lunedì successivo.

C'era una volta... la SME - Premessa


L'’aereo aveva appena preso quota e l'’assistente di volo
dato i primi annunci quando il signore, nervoso, seduto
accanto a me, si accese la prima sigaretta. Convinto che il
tempo giocava a mio sfavore intervenni subito con tono
forzatamente pacato: "“Mi scusi, signore, ma lei qui non
può fumare"”. Avevo ottenuto un posto non fumatori per cui
ero assolutamente certo dell’'abuso del tipo accanto e la
parola '“signore'” dovette riuscire un po' sforzata. Il tizio,
infastidito, si voltò verso di me polemico: "“E chi l'’ha detto
che qui non si può fumare?"”. Con tono ancora più calmo,
dopo aver pregustato la risposta, replicai: "“A parte il fatto
che lo ha appena detto l’'assistente di volo, ... vede? (dissi
indicando la figurina con la sigaretta accesa e sbarrata sulla
mia carta d'’imbarco) qui non si può fumare"”. E, certo di
aver centrato il colpo, aggiunsi: "“Mi dispiace”". Il signore,
visibilmente urtato, si alzò e si diresse verso il fondo dell'’aereo.
Incredulo del così facile successo mi misi più
comodo sulla poltrona e presi la rivista patinata in omaggio
che si trovava nella tasca del sedile di fronte. Avevo
appena cominciato a sfogliarla immergendomi in quell'’atmosfera
un po'’ soft che si cerca di creare in questi voli, con
quella musica di sottofondo del genere Papetti-sax, quando,
al posto del fumatore si sedette un anziano signore, con
una vistosa benda sul collo. “"Meno male"” mi disse con sorriso
coinvolgente “"che sono potuto venire più avanti; sa:
mi sono appena operato alla laringe e con tutto quel fumo
là dietro credevo di soffocare..."”. In effetti la sua voce giungeva
appena, distorta come quella di Sandro Ciotti: si capiva
che per lui il fastidio del fumo doveva essere superiore al
mio. Tuttavia desideravo distendermi e riprendere la lettura
della rivista piuttosto che essere coinvolto in una conver-
sazione, per cui gli sorrisi anch’io e riabbassai la testa sulla
rivista rinunciando a dirgli di essere io il suo salvatore e
così anche alla sua gratitudine. In quel momento il comandante
dell’'aereo prese la parola per farci sapere che,
sebbene il decollo da Linate fosse avvenuto con un quarto
d’ora di ritardo, egli prevedeva di atterrare a Napoli in perfetto
orario. Il mio amico stomizzato a questo punto lasciò
partire un segno di appunto che somigliava a un breve
lamento. "“Può essere un bene e può essere un male"” mi
disse, soddisfatto per aver finalmente trovato un buon
argomento di conversazione. E, senza aspettare la mia
richiesta di chiarimento, aggiunse: "“Conosce la storia?”.
“Quale storia?” gli chiesi, un po’ scocciato. “C’era una
volta un ragazzo - iniziò - che doveva fare gli esami di
maturità. Si preparò senza convinzione ma poi li superò e
suo padre decise di fargli un regalo. "“Voglio una moto”"
disse il ragazzo. "“Può essere un bene e può essere un male"”
disse il padre, ma gli comprò ugualmente la moto. Il ragazzo
cominciò a utilizzarla ma presto fece un incidente. "“Può
essere un bene e può essere un male"” commentò il padre,
ma il ragazzo non capì. L’incidente infatti permise al
ragazzo di non fare il servizio militare ...”. ... e così continua
la filastrocca... Le parole del vecchio mi colpirono a
fondo ed ancora oggi mi ritornano alla mente soprattutto
quando penso ai fatti che sto per raccontare. L'’aereo, naturalmente,
continuò il suo volo e arrivò ... in orario.

C'era una volta... la SME - Prefazione


Vi racconto la storia di com'è stata la prima privatizzazione italiana e di come l'ho scritta.

Prefazione
Aprile 1998: il Gruppo Cirio trasferisce il proprio centro
decisionale da Napoli a Roma. È un altro pezzo del Sud
industriale che se ne va. Il colosso agroalimentare – le cui
sorti sono oggi sospese in seguito alla discutibile gestione
del finanziere Sergio Cragnotti – ha una storia che supera
il secolo, vanta nel Mezzogiorno un radicamento affettivo
con pochi paragoni e rappresenta uno dei “pezzi” più pregiati
coinvolti nella prima grande privatizzazione effettuata
in Italia, quella della SME.
La SME, Società Meridionale di Elettricità prima della
nazionalizzazione del comparto, si è trasformata nel tempo
fino a diventare, sul finire degli anni Settanta, una conglomerata
dalle attività molto diversificate che spaziano
dalle produzioni agroalimentari ai prodotti da forno, dai
gelati alla grande distribuzione, dalla ristorazione veloce al
catering. Le vicende collegate alla lunga e tormentata
vicenda ai privati, con tutte le conseguenze anche di carattere
giudiziario, hanno lasciato un segno nella storia economica
del Paese.
Alessandro Pagano ripercorre le tappe di quell’operazione
politico-finanziaria con un’ottica inedita: legando i fatti ai
personaggi, noti e meno noti, che hanno vissuto le varie
fasi attraverso cui si è giunti allo smembramento della
SME condizionandone l’esito. È, questa, una “storia vissuta
dal di dentro”, scritta con uno stile lieve, talvolta scanzonato,
piacevole da leggere, capace di interessare anche i
non addetti ai lavori. Una storia raccontata, come avverte
l'’autore, con sospensione di giudizio nel presupposto che
qualsiasi novità, come insegna il filosofo Lao Tse, “può
essere un bene e può essere un male”.
Alfonso Ruffo
Direttore de "Il Denaro"





Dopo aver scritto la storia della privatizzazione della SME - ero uno degli impiegati che si sono rinchiusi nel moderno edificio del Centro Direzionale di Napoli qunado i vertici della Finanziaria avevano deliberato di venderla a pezzi (1993) e in particolare uno di coloro che inviavano le veline alla stampa - ho messo mano agli scritti con un resoconto dell'accaduto "di prima mano" (2003). Nel 2001 ho fondato la ART Web Marketing per la promozione dell'arte sul web, attualmente attraverso il sito web http://www.presepenapoletano.it/.

Di seguito ho raccolto le testimonianze di Vittorio Coscia, un imprenditore del corallo e dei cammei di Torre del Greco e su Pietro Bucci, un insigne chimico professore universitario, ex Rettore dell'Università della Calabria e del Campus Biomedico di Roma. Nel 2011 ho pubblicato la biografia di Angelo Affinita un  industriale della provincia di Caserta, fondatore di un gruppo con oltre 400 dipendenti. Sempre nel 2011 ho pubblicato il sito http://www.storieaziendali.com/ per far conoscere l'attività di storytelling (non si offendano i puristi).